IL FIORE COME IMMAGINE

di Emma Gravagnuolo

C'è una caratteristica ben definita che lega molti degli artisti internazionali più importanti dell'ultimo decennio: l'aver fondato la loro poetica su un modello di realtà sempre meno concreto, l'aver edificato con le loro opere dei veri e propri mondi estetici in cui non è più evidente il confine tra reale e artificiale, l'aver unito sistemi immaginari per poter coniugare elementi di verità a quelli di fantasia. "L'irrealismo pittorico" di questi autori ha lo scopo di costruire un universo d'invenzione, dove lo spettatore è invitato ad immergersi nell'illusione. Osservando le tele di Dany Vescovi – stesure pittoriche pure con immagini estratte dai più diversi repertori del mondo naturale con un impatto volutamente accattivante e d'apparente accessibilità – si ha l'impressione di trovarsi di fronte a soggetti reali come fiori, petali, boccioli, fili d'erba e bacche rese in macrovisioni dalle cromie fluorescenti. È davvero così?
Ad essere autentica è la sola forma dei soggetti. Vescovi non ha costruito un mondo fantastico, ma fabbricato una nuova realtà che non è dominata da parametri rigidi basati sul concetto di verità. Ripercorrendo i passaggi che portano alla realizzazione dei suoi dipinti, vediamo come l'artista in fase progettuale si serva del computer per smembrare ed elaborare l'immagine, per studiare la composizione del quadro. Dopo aver scelto i suoi soggetti da fotografie, libri e riviste di settore, le rielabora in digitale. In questo modo può scegliere alcuni particolari, può spezzare un fiore per rimontarlo con una differente componente cromatica basata su colori artificiali. Il sistema biologico di questo suo mondo naturale viene inserito in nuovi schemi attraverso un progetto estremamente curato, quasi scientifico.
Ma che siano fiori, o altro, poco importa. Perché fin dagli esordi Vescovi ha rivelato quanto per lui il "soggetto fiori" sia solo una riserva inesauribile di forme e di colori, un motivo in senso stretto. Quasi un pretesto, verrebbe da dire, per poter lavorare sul medium pittorico e far confrontare lo spettatore con l'esperienza della pittura. Se la sua ricerca s'inserisce nella tradizione dei maestri, dai fiamminghi al Settecento, e continua sulla traccia di un nutrito gruppo di pittori soprattutto stranieri, che oggi lavorano sul "soggetto natura", è anche vero che questa scelta tematica per lui non ha alcuna carica simbolica, come invece accadeva in passato nel genere della natura morta. Il soggetto
non possiede nessun valore sacrale, nessuna intoccabilità. Non è un'icona. Proprio per questo, viene manipolato senza alcuna riserva.
Tagliato in diverse sezioni, assemblato in sequenze, ingrandito a diventare una forma pura, alterato ma non del tutto irriconoscibile. Vescovi non cerca di conservare una logica narrativa, non desidera offrire all'osservatore la possibilità di ricomporre le parti come si fa con i tasselli di un puzzle. Punta piuttosto alla sovrapposizione, agli accostamenti imprevedibili, agli incastri attraverso un sofisticato sistema di slittamento delle parti, all'interno di un corpo pittorico portante. Sulla tela dà vita a un cortocircuito visivo attraverso continue interferenze, una trasformazione di immagini figurative in forme e volumi astratti e frammentati. Accostamenti e slittamenti dei piani rivelano un
accumulo di informazioni, coloristiche e formali, da richiamare la cultura psichedelica (e non è un caso che una sua personale di qualche anno fa si intitolasse proprio "Flower power" in omaggio alla cultura hippie anni Sessanta-Settanta). Se all'inizio erano solo le righe verticali – quasi dei viraggi – ad interrompere la continuità dell'immagine, col tempo è subentrato lo sfasamento dei piani dei quadri, il loro scorrere verso l'alto e verso il basso lungo queste linee. Vescovi opta per una compresenza inaspettata di segni.
A fiori sgargianti, iridescenti, sbiaditi, ingranditi o sfocati, accosta piccoli cerchi pop, rettangoli di colore, linee verticali ripetute più volte (quasi una griglia), le stesse sagome dei fiori, piatte o in rilievo. Tutte queste forme sembrano animarsi, muoversi per magia. S'incontrano con l'avvicinarsi dei piani, s'imbattono con inserti in gesso che formano sottili strati, con smalti madreperlacei dagli effetti cangianti, con trasparenze e spessori sempre differenti, così come differenti sono il segno della definizione e la tonalità del fondo. È mixando abilmente tutti gli elementi che ha a disposizione, è enfatizzandone le strutture, annullando completamente l'aspetto materico della pittura che Vescovi costruisce atmosfere e contemporaneamente induce lo spettatore a un esercizio della visione. Così, quello che un tempo era il fondo del quadro, relegato a parte secondaria, nelle sue opere diventa via via più importante. Una ricerca che ha affinità, insieme alla stagione astratto geometrica americana, ancor di più con l'estetica giapponese, con i suoi artifici spaziali e il taglio delle immagini, con le sue ardite sperimentazioni e i primi piani ingranditi. E con una sorta di sospensione, di atemporalità che si percepisce anche nelle sue composizioni. "Non ciò che è appena accaduto conta", scriveva il critico Klaus Honnet, "bensì ciò che è stato, è. In altre parole la permanenza del passato nel presente".

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